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Interviews & articles
     
 Robert Wyatt - Persone - Rumore - N° 69 - ottobre 1997



 

ROBERT
WYATT


E' in circolazione un disco nuovo di Robert Wyatt: ecco una notizia. E inoltre, sabato 18 ottobre, l'autore sarà a Torino per la seconda edizione del Salone della Musica. A far che? "Non lo so! Non ne ho la più pallida idea! E' buffo essere convocato in un bel posto e non sapere per quale ragione", risponde. "In realtà credo dì essere stato invitato per partecipare a un incontro pubblico in cui avrò come interlocutore il signor Bertoncelli." Racconterà in quella occasione la sua lunga storia, immaginiamo: una storia cominciata più di trentanni fa... "Per me è stata una vera sorpresa durare cosi a lungo," dice, "non ho condotto un'esistenza molto prudente, infatti." Eccesso degli eccessi, la caduta dal balcone di una casa che ospitava un party "psichedelico": era il 1973. Da allora Wyatt vive su una sedia a rotelle e conduce un'esistenza segnata da disagi e sofferenze. "Sono reduce da un periodo piuttosto difficile," racconta, "un paio di estati fa mi è capitato un incidente, sono caduto dalla sedia e ho dovuto rimanere per un po' in ospedale. E poi ha avuto qualche problema nervoso, una specie di collasso, e per alcune settimane ho sofferto di insonnia.


Ecco perché ho combinato poco ultimamente, avevo perso il ritmo lavorativo. Continuavo a scrivere versi, comunque, e mi sforzavo anche di suonare: alcune delle idee del disco nuovo arrivano proprio di là." Il disco è intitolato Shleep, un vocabolo che non compare in alcun dizionario inglese... "E' una parola che mi piace moltissimo, :anche se non non ha alcun significato preciso. Per me è un modo di definire un sonno agitato, interrotto... E in un altro senso può essere sinonimo di life vita." Un disco denso e struggente come solo i suoi sanno essere: ce n'è a proposito uno del passato a cui Shleep potrebbe essere accostato? "Per certi aspetti direi Ruth Is Stranger Than Richard: anche in quel caso fui aiutato da amici, Brian Eno come adesso, e poi Fred Frith, i due sassofonisti, Gary Windo e George Khan, e ancora Bill McCormick al basso e Laurie Allen alla batteria. Fu una specie di disco 'sociale'." Lo stesso accade in Shleep, alla cui fattura hanno contribuito in forme e misure diverse, oltre a Eno e al suo ex socio di Roxy Music Phil Manzanera, tanto l'onnipresente Paul Weller quanto il jazzista dissidente Evan Parker. Come far convivere caratteri artistici così diversi? "Shleep è forse l'unico luogo dove possono convivere, infatti... Sono stato molto attento nello scegliere come collaboratori persone con cui potessi sentirmi a mio agio, e ovviamente non si sono trovate tutte in studio contemporaneamente, anzi alla fine ciascuna è venuta per conto suo. Quando lavoravo con Brian c'era solo lui, e quando lavoravo con Paul c'era solo Paul: sarebbe stato davvero complicato trovarsi in gruppo, stare insieme nella stessa stanza, avremmo avuto sicuramente problemi di comunicazione." Ovviamente si tratta di un'opera che ha poco a che spartire con lo scenario musicale circostante... "Lo conosco poco, siccome non ascolto più la radio e in televisione seguo soltanto le commedie e i programmi scientifici. Però mi è capitato di ascoltare qualcosa e ci sono artisti che mi piacciono: Björk, per esempio, è un gran personaggio e apprezzo l'attitudine che ha." Che dire allora del Britpop considerato da Tony Blair "una risorsa culturale della nazione"? "Non sapevo avesse detto questo..." A proposito degli Oasis... "Non riesco a pensare in quei termini a cose del genere, mi pare fuori luogo parlare di 'risorse culturali'... E non mi piace questo spirito da conquistatori del pianeta, anzi è esattamente l'opposto di quello che vorrei vedere. Vorrei vedere un'Inghilterra più aperta alle altre culture: ecco una cosa che mi farebbe molto più effetto di questa spavalderia anglofila." Robert Wyatt come outsider, allora? "Una domanda del genere deriva dalia convinzione che ognuno debba avere un'identità precisa da affermare, ma io non ne ho bisogno: uso gli orecchi e gli occhi per avere un contatto con il mondo, non per ascoltare e guardare me stesso."

Alberto Campo

       
     
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