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 Alfreda Benge and Robert Wyatt's Mass Medium - Rockerilla - N. 66 - febbraio 1986









Wyatt non è un Siddharta. Wyatt fa filosofia con le sue canzoni. Wyatt non guarda la televisione. Wyatt: i duri non ballano mai. Wyatt non entra nelle classifiche. Wyatt è capace di pensare. Wyatt non gioca a bridge. Wyatt non scherza quando ride. Wyatt non mangia la frutta sciroppata Dal Monte perché importata dal Sud Africa.

L'abbiamo incontrato a Twickenham nella sua casa di molto fuori mano, a due passi dalla corrente del fiume. Con lui in giardino la moglie, Alfreda Benge, pittrice tra il naif e il surreale.





Credi che "Old Rottenhat" sia stato influenzato dalla tua passione per la musica orientale?

E' un punto, questo, a cui è arrivata molta gente; ma quando cominciai a comporre l'album, la mia unica preoccupazione era di creare qualcosa di valido. Penso che oggi, mentre provo un 'a solo', o una linea melodica, sottendo anche influenze musicali tipiche del medio oriente. Perché? Perché uso determinate scale e una costruzione orizzontale che appartengono a quella cultura; così come chi fa del rock 'classico' si riferisce per forza a matrici sonore specifiche del rock. Pertanto si tratta di influenze molto indirette, non consciamente premeditate.

Sei interessato anche all'aspetto timbrico degli strumenti orientali?

Credo che la musica orientale abbia una relazione piuttosto importante con quella occidentale, in quanto la maggior parte degli strumenti 'europei' classici sono derivati da quelli medio-orientali (come l'oboe per esempio). Nel tempo, lo strumento classico ha acquistato in raffinatezza perdendo però in potere espressivo. Infatti se ascolti uno di quegli strumenti a fiato ad ancia doppia, provenienti dal Medio-Oriente come il sanai, ti rendi conto di come il suono sia 'very powerful', incredibilmente più forte di quello di un qualsiasi oboe corrispondente al derivato europeo. Una delle ragioni per cui mi sono accostato al jazz è che ho conosciuto, all'interno del mondo occidentale, una generazione di 'black musicians' che ha saputo rivitalizzare la natura degli strumenti: penso subito al sax, per esempio. E' ancora attraverso il jazz che ho scoperto tutti i tipi di musica etnica e folk esistenti al mondo.

L'ultima live performance a cui ho assistito è stata quella di un gruppo di esuli turchi e curdi residenti a Londra: un fiato, una batteria e giochi di danze, senza microfoni o accorgimenti tecnici, con una carica così potente da ridefinire il contenuto di concerto in raduno, assemblea: in breve, rito. Ciò mi ha colpito non tanto per il suono ma perché non condivido il concetto della musica occidentale come colonizzatrice del mondo.

Pensi di aver tradotto quest'idea all'interno di "Old Rottenhat"?

Sfilare dalla matassa le varie influenze è un'operazione complicata, anche perché alla fine la mia musica suona come mia musica; gli strumenti che uso in pratica sono sempre quelli. E non ho cercato di suonare musica araba o cose del genere: c'è chi a ragione lo fa meglio di me. Il gruppo etnico relativo a certa musica è consapevole che il suo canto, il suo fare musica, gli permettono di esistere; poi se qualcun'altro, di altra cultura, si impossessa della sua musica trasferendola come decorazione alla 'western rock music', quella gente resta ancora inosservata, inascoltata, quindi non percepita, e le cosiddette 'influenze' vanno ad ingrassare solo una forma d'imperialismo culturale accumulativo.

Si' confeziona un cattivo patchwork dal gusto veramente kitsch, allo stesso modo di quando si ascoltano rifacimenti/stravolgimenti di musica classica occidentale ad opera di gruppi che utilizzano strumenti elettrici ed elettronici magari con tanto di batteria...

Esattamente: non si rispetta la musica pertanto non si rispetta la gente.

La tua ricerca dell'essenza attraverso la semplicità riesci a interpretarla come il frutto della natura umana che col tempo è destinata a recuperare una matura dimensione di 'fanciullino'?

Preferisco riferirmi all'immagine dei pellerossa americani per cui la vita dell'uomo si svolge disegnando un cerchio. E' diversa dall'idea che considera il tuo carattere come un'entità che continua a svilupparsi durante tutta la tua vita. Trovo più logico il concetto di varie fasi autonome in cui si compiono diversi viaggi attraverso una serie di modi d'esistere. Un viaggio poi non è qualitativamente migliore degli altri; ora io sono preoccupato dell'essenza; ieri non lo ero, e chissà se domani lo sarò ancora!?

Hai rimpianti per qualche viaggio passato?

Non mi piacerebbe vivere al condizionale ed una cosa è certa: se non fossi passato attraverso precedenti stadi probabilmente ora non mi troverei in questa fase. Conosco per esempio altre persone che hanno cominciato, all'opposto di me, con la musica tradizionale, convenzionale, o comunque semplice, e poi si sono proiettati verso un bisogno d'innovazione e di complessità.

Come commenti il progetto chiamato "The Last Nightingale" in relazione alla portata di una Band Aid?

Non vorrei contrastare la Band Aid per quanto riguarda la proporzione delle due operazioni, mentre cerco di fare una distinzione sul tipo di contenuto sociale. La lunga tradizione della carità verso il povero è una lunga tradizione del ricco; è un ideale molto nobile ma ciò per cui noi abbiamo cantato è il 'potere ai poveri', cercando di spezzare il comodo recipiente della carità. In politica la domanda chiave è 'chi detiene il potere?', e da lungo tempo il povero non ha questo potere; la sua posizione non mi sembra realmente migliorata. Non credo che ciò per cui abbiamo cantato possa essere supportato da qualche maggiore e importante uomo politico. Molte persone che sono felici di sentirsi dispiaciute per la gente del terzo mondo sono allo stesso tempo terrificate all'idea che questa gente possa maturare un reale controllo della loro vita: ma solo perché questo potere potrebbe, un giorno, costituire una minaccia al 'nostro' potere.

Perché, a proposito dei minatori, il rock delle charts si è fatto sentire solo ai concerti, nei casi migliori, e non attraverso specifiche produzioni discografiche?

Penso che siano fieri di foraggiare i poveri. Ma per il povero, l'avere un lavoro sicuro, in modo da modificare la sua condizione, potrebbe innescare uno strano eco che arriverebbe a certe orecchie col significato di: "Ha troppo!".

In termini prioritari, tuttavia, deve essere buona cosa che la gente, quando allunga una mano al mondo, preferisca dedicarsi al vecchio mondo che non all'Occidente. Quella stessa gente ha visto che molte persone non hanno nemmeno quelle necessità di base che noi consideriamo scontate per vivere una vita dignitosa. Se l'enfasi può aiutare a far pensare ad una giusta politica sulla relazione ricco/povero, allora ben venga. Quando poi il tempo stringe è chiaro che se il denaro è diretto al bisogno è sempre una cosa positiva...

Alfreda: Mi è capitato di fare delle illustrazioni per un 'children book' destinato all'Etiopia. Dopo avere accettato ho scoperto che c'erano sessanta diverse persone che in qualche modo sostenevano il punto di vista di Margaret Thatcher: per incrementare le vendite del libro ho dovuto firmare un autografo sulla stessa pagina vicino alla firma del primo ministro. Ma in questo caso il fine giustifica i mezzi.

Robert: Allo stesso tempo però il governo sta stendendo un nuovo piano d'interventi per esportare tecnologie militari in Sud Africa; in altre parole sta incrementando lo stato di terrorismo bianco in quelle zone. Questo è il nocciolo della carità! Il problema è che si tratta di un espediente, parzialmente efficace, ma sempre molto limitato. Improvvisamente la compassione si spegne e spuntano, al suo posto, le macchine da guerra: e questo cambiamento avviene nelle medesime persone! Anche il papa, mentre prova dolore per il povero, vuole fatalisticamente che egli rimanga nella sua condizione di povero. (Sono note le reazionarie posizioni Vaticane contro "La teoria della liberazione" in Africa e Sud America - n.d.d).






Nel tuo album c'è qualche testo particolare in cui credi si possa emblematizzare il tuo punto di vista politico?

"East Timor", perché anche in Indonesia esistono simili problemi. "East Timor" è una parte del mondo dove molte persone sono state fatte massacrare, e vengono massacrate tuttora con l'appoggio dell'Occidente. Ma quasi tutto l'album è una denuncia contro la distorsione dei metodi coi quali l'Occidente si affaccia verso il resto del mondo.

Come ti poni di fronte alla strategia della 'ripetizione' in musica?

La maggior parte della musica che preferisco contiene elementi ripetitivi; l'intero business della dance music - nel senso più ampio della parola - è basato sull'effetto accumulativo della ripetizione. Non c'è bisogno di teorie accademiche per giustificare come questa forma musicale primitiva sia diffusa un po' in tutte le parti della terra.

Con i Soft Machine c'era un pezzo chiamato "We Did it Again" in cui tentavamo la ripetizione della semplicità come accumulo e liberazione di forze molto forti. Chi fa nuova musica dovrebbe capire che non si tratta soltanto di creare centinaia di nuovi rumori quando si vuole produrre con originalità!

Ho ascoltato molta musica tribale nera ai tempi della mia batteria e la gente diceva che era molto semplice proprio perché ripetitiva. Ma quando si suonano delle linee ripetitive, minimali, ciò che si forma nella mente non appartiene alla categoria delle cose semplici. Nella testa cambia il modo di accostarsi all'ascolto anche se la materia d'ascolto resta fissa. Sono i diversi livelli di accumulazione che determinano diversi livelli di percezione e quindi di risposta. Così abbiamo sperimentato queste cose ripetendo per più di 150 volte la stessa frase. Allo stesso tempo c'erano molte correnti d'avanguardia europee che discutevano questi argomenti quando su altri livelli culturali, in molte diramazioni musicali folk, si operava con concetti analoghi da chissà quanti secoli.

E' stata una scelta personale quella di non chiamare nessun altro musicista per la realizzazione del nuovo album, o in realtà questi brani non hanno alcun bisogno di apporti esterni?

Diciamo che mi è parsa la via più conveniente per raggiungere l'obiettivo di semplicità che mi sono posto. In questo contesto un bassista non sarebbe stato migliore di una bass-line; mentre in "Strange Fruit' era esattamente il contrario.


Alfie: moglie, pittrice e...

Di solito, quando si progettano più copertine per uno stesso disco esistono motivi di mercato legati anche alle diverse culture dei paesi dove si vuole rivolgere la distribuzione. Per "Nothing Can Stop Us", uscito prima in Italia con una cover, poi in Inghilterra con un'altra, quali scelte di base ci sono state?

Alfreda: Dalla descrizione che mi hai fatto, e questa notizia mi risulta del tutto nuova, la copertina dell'edizione italiana è stata sicuramente ricavata da un quadretto che dipinsi a suo tempo per la rivista Gong: allora mi chiesero qualche disegno per corredare un servizio sui testi di Robert... Ma personalmente non ho autorizzato nessuno ad usare quelle cose, nemmeno tanto belle, per operazioni di questo tipo!

Di solito per il design di un disco di Bob, o mi limito alla sola scelta della cover, la cui immagine può anche essere un mio vecchio dipinto (Work in progress, Nothing can stop us), quando si tratta di un remake; oppure quando lui scrive i pezzi, come in "Rock Bottom", allora disegno qualcosa di specifico che tende ad integrare il suo lavoro con il mio. In "Shipbuilding", per esempio, ho scelto un quadro non mio perché mi sembrava l'immagine più adatta per quella canzone non sua. Il singolo poi è uscito con quattro differenti copertine corrispondenti a quattro parti dello stesso enorme 'mural'.

Le copertine di "Rock Bottom" e di "Ruth & Richard" sono nate da un'impressione generale delle rispettive produzioni?

No, direi piuttosto da impressioni relative ad un pezzo particolare: in "Rock Bottom", Sea Song, e in "Ruth & Richard", Muddy Mouth.

Robert: Vorrei aggiungere che noi due abbiamo in comune un concetto: la musica e le immagini possono anche essere abbastanza dissimili tra loro, ma ciò che può legarle è la parola: è il testo quindi che suggerisce un rapporto tra musica e immagine.

Alfreda: Non in "Work in Progress" comunque, dove lo stimolo è nato dalla musicalità del linguaggio sudamericano.

Come percepisci un'interpretazione grafica del dato sonoro al di là d'ogni funzione meramente pubblicitaria?

Alfreda: Sento di avere l'autorità per decorare il suo lavoro perché mi sento parte di esso...

Robert: Mentre lavoro Alfie conosce e partecipa alle mie canzoni per il semplice fatto che vive con me. Da qui nasce anche un legame con il testo: perché spesso le parole che canto provengono in buona parte dalle nostre conversazioni. Non esiste una distinzione di ruoli, lei un'artista ed io un musicista: come persone il nostro interesse è quello di svilupparci sempre più apertamente. Per cui esiste già una connessione umana prima ancora di quella artistica. L'una innesca l'altra automaticamente. Così scrivo cose che interessano entrambi. Ed Alfie conosce le mie canzoni non tanto perché viviamo sotto un unico tetto, ma perché chiede di vivere con esse.

Alfreda: Se per un pezzo di Bob dovesse intervenire qualcun'altro nella realizzazione grafica sarebbe un insulto: non credo proprio che altri possano averne il diritto...





Essendo una pittrice sei logicamente influenzata da uno stile 'grafico' piuttosto che da uno 'fotografico'. Esiste qualche altra ragione meno apparente di questa tua tendenza?


Alfreda: La fotografia non mi piace particolarmente. Generalmente intendo l'artwork in modo piuttosto astratto e credo che la musica di Robert abbia ben poco a che fare con un tipo di visualizzazione fotografica. Preferisco invece consolidarla come un 'child work'; quindi non abbastanza vecchia per avere dei rapporti con il medium fotografico.

Robert: Tra le cose che mi diversificano da molti altri 'rockers' c'è anche il rifiuto di progettarmi visualmente. Per loro il 'sembrare', l'apparire, fa parte dell'azione. Mentre per me ciò che è 'look' non rientra nell'espressione del mio 'act'. Anche perché non potrei sfruttare in nessun modo la mia somiglianza con una vecchia patata!

Il rock è costruito attorno ai bisogni e ai falsi bisogni del mondo giovanile. In questo momento stiamo discutendo sul contenuto dei dischi mentre spesso il rock come fenomeno si limita a sostanziare un discorso che è 'attorno' alla musica e che riduce il problema ad una rappresentazione di stili, mode; esprime il bisogno d'una immediatezza d'impatto la cui natura è tipicamente televisiva: così si aspira solo alla superficie degli oggetti, degli argomenti, dei problemi.

Alfreda: Impacchettare un disco di Bob secondo tecniche pubblicitarie che mirano ad un astuto graphic design, magari con costi di diverse centinaia di pounds, e con lo scopo di aiutarlo a vendere, sarebbe una menzogna. Perché attraverso un simile procedimento si infrangerebbe la sua personalità di 'amatore'. Lo invece mi sforzo di trasferire 'amichevolmente' e con maggior naturalezza possibile questa sua umana amatorialità così come cerco di evitare ogni tattica di marketing. Quando compose "Rock Bottom" era il periodo in cui le copertine spingevano molto l'immagine truccata, sensazionale, che doveva colpire lo sguardo a tutti i costi. E personalmente scelsi di oppormi alla tendenza "Hypnosis" con un semplicissimo disegno a matita, privo di colori, il cui sfondo bianco poteva essere 'completato' dalle impronte delle dita, più o meno sporche, che si sarebbero posate sulla copertina. Il rapporto di fruizione con l'immagine non era quindi passivo perché in quel modo l'ascoltatore avrebbe depositato delle 'tracce' personali, scrivendo una storia del contatto, della manipolazione, sin dal momento dell'acquisto. Inoltre non vi erano espressi dei legami vincolanti al trend culturale di quel periodo: e oggi, a dieci anni di distanza, si può verificare maggiormente la sua totale estraneità temporale, la sua non databilità. In questo senso, per esempio, i dischi dei Soft Machine erano terribili in quei moduli tipicamente sixties!

E a proposito delle covers di "Work in Progress" e "82-84"?


Alfreda: La prima è stata combinata con la musica di "Yolanda" e...

Robert: A dire la verità quel disco doveva intitolarsi "South of the Border" per significare il confine del nuovo gruppo di canzoni...

Alfreda: Per la raccolta "82-84" volli rappresentare una bandiera rossa stretta in mano da un omino. Con assoluta libertà. Ma quando la casa discografica americana ricevette il materiale qualcuno mi telefonò dicendomi: "Noi crediamo che questa copertina non rifletta il prodotto: è un disegno da dipartimento per l'infanzia!" Poi il tipo s'innervosì quando si accorse che ero proprio la moglie di Wyatt. Allora Jeff Travis sistemò la faccenda comunicando che se non avessero utilizzato quel disegno sarebbe saltato tutto il progetto.

Robert: Tra l'altro hanno scelto di pubblicare i testi ma con un sacco di errori. Ho quindi spedito gli originali e sto aspettando ancora adesso di vederli corretti. Ma sai, a volte trovo piuttosto discutibile separare il testo dalla musica. Se vuoi fare delle affermazioni piuttosto dure in una canzone, e realizzare ciò che la gente si aspetta, dovresti fare anche una musica dura: il punk per esempio era una musica arrabbiata, aveva liriche arrabbiate ed una musica veloce: con una forte connessione interna, 'naturale' e 'logica', tra le due parti in gioco. La mia esperienza con la musica rivoluzionaria che si pratica intorno al mondo m'insegna che i rapporti non sono sempre così semplificati. E infatti alcune delle più efficaci e forti canzoni rivoluzionarie latino-americane hanno un sound molto romantico, soft; la stessa cosa vale anche per le canzoni degli stati sudafricani. Mentre in una situazione opposta puoi trovare un album di una rock band suonare in modo violento, provocatore: ma con lo stesso contenuto di una carriola zeppa di dolce cioccolato, in termini di messaggio! Ecco perché mi piace giocare la partita con questa 'contraddizione', allo stesso modo di Alfie.

Il caso della copertina per il disco americano è chiaramente un buon esempio: non era certo il quadro che si aspettavano di trovare a fianco di Biko e Victor Jara quello di Alfie! Non era una tipica immagine tragica! Ma è attraverso una combinazione inattesa delle forme e non per questo meno vera, che si crea una sfida del contenuto.

Se ci fosse stata una distribuzione del disco in Unione Sovietica avresti colorato con la stessa ironia una bandiera a stelle e strisce?

Alfreda: No, sono da una parte sola.

Per concludere uno sguardo al vostro ultimo lavoro...

Alfreda: Quando i bambini 'cockney' vedono qualcuno con un cappello in testa intonano cantilene del tipo: "l've Got an Hat But It's Not Like that old Rottenhat". E' un lazzo dialettale.. il titolo.

Non so cosa la copertina voglia rappresentare, essere: è qualcosa di completamente astratto e si riferisce piuttosto agli argomenti trattati nel disco, in una parola sola al mondo. Dovrebbe avere una chiave di lettura internazionale, come una sorta di esperanto visivo.

Robert: Alfie mi ha raccontato di questa espressione cockney e me ne sono subito innamorato; anche se non saprei spiegarti il perché. Allo stesso modo di "Rock Bottom" l'influenza del pittore sul musicista è anche nel titolo. Quando scrivo musica si creano degli elementi visivi nella mia mente, dei 'paesaggi': e se ascolti il disco senza ascoltare le parole puoi anche pensare che non sia cambiato molto nella mia musica, nelle atmosfere, in tutti questi anni; ma sarebbe solo un'illusione: perché le liriche non sono più irreali, sognanti e fantastiche.


       
     
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