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 Robert Wyatt - L'opera tragicomica di un mito vivente - Rockerilla - 15 Aprile/15 Maggio 2010



Robert Wyatt


L'OPERA TRAGICOMICA DI UN MITO VIVENTE

di Daniele Follero




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Non è mai stato un virtuoso né del canto né dello strumento (che fosse la tromba o la batteria), ma è un punto di riferimento fondamentale per molti musicisti e compositori; non ha mai amato registrare dischi, preferendo di gran lunga le esecuzioni dal vivo, eppure gli album che ha pubblicato in più di quarant'anni di carriera sono diventati delle pietre miliari della storia della musica del Novecento. Critico, scontroso, poco avvezzo al successo e alla sua gestione, personaggio cardine del rock progressivo inglese, Robert Wyatt è il simbolo di una generazione, ancor prima che un musicista. Una generazione che ha attraversato il rivoluzionario ventennio '60-'70 con l'obiettivo (raggiunto) di dare uno scossone al rock, accompagnandolo attraverso la sua maturità. Creativo per scelta e per necessità, Wyatt incarna il volto migliore di quel rock d'avanguardia, cresciuto con i Beatles, il jazz e la militanza politica e raccolto attorno alla fantomatica "Scuola di Canterbury", riferimento geografico inappropriato, ma diffuso, per definire l'ala sinistra del progressive rock britannico.

La storia di Robert Wyatt Ellidge comincia a Bristol, nel Somerset, dove nasce nel 1945 da George Ellidge, uno psicologo, e da Honor Wyatt, giornalista radiofonica e insegnante. Ma l'infanzia e la prima adolescenza di Robert si dividono tra West Dulwich (un sobborgo di Londra) e Lydden, un paese ad una quindicina di chilometri da Canterbury, dove i genitori gestiscono Wellington House, una guest house di 14 stanze che ospitava soprattutto studenti universitari. E' qui che il giovane Robert viene a contatto con Daevid Allen, una delle figure più importanti per la sua formazione artistica, che gli apre le porte della creatività senza confini e senza limiti, accendendo la miccia di un'amicizia e di una collaborazione entrambe felici e durature. E' proprio con Allen che l'ancora acerbo batterista, fonda la sua prima formazione, il Daevid Allen Trio, completato dal bassista Hugh Hopper, un'altra figura che risulterà fondamentale per il futuro del rock d'avanguardia. Spintosi fino in Francia, però, il Trio si trova ad un bivio. Uno di quegli incroci del destino che, con il senno di poi diventano simbolici: al ritorno in Inghilterra, Daevid Allen, australiano, viene trattenuto alla frontiera francese per problemi con i documenti. L'evento, oltre a segnare la fine del progetto, determina la separazione dei tre e il definitivo trasferimento di Allen in Francia. Di lì poco, a Parigi nasceranno i Gong e in Inghilterra i Wilde Flowers, nucleo primordiale dei futuri Soft Machine.

Siamo nel 1965 e il rock muove i primi passi verso la sua definitiva emancipazione. La psichedelia è alle porte, ma Wyatt e compagni sono lontani da Londra, capitale del movimento, e legati indissolubilmente al jazz. Questo legame risulta fondamentale per la nascita del "Canterbury Sound", quella particolare sfumatura del progressive rock che ha sempre dato grande importanza all'improvvisazione. E che trova compimento nei primi quattro album dei Soft Machine, creatura nata dall'incontro tra Wyatt, Mike Ratledge, Kevin Ayers e un redivivo Daevid Allen. Un quartetto, divenuto trio dopo la nuova defezione di Allen, che comincia ad esibirsi davanti ad un pubblico consistente grazie alla possibilità di accompagnare in tour Jimi Hendrix.

Dopo qualche anno, l'esperienza dei Soft Machine comincia a stare stretta alla creatività di Wyatt, che all'inizio degli anni Settanta comincia a spingersi oltre il gruppo prima attraverso collaborazioni (tra cui spiccano la big band Centipede e il progetto Symbiosis con Phil Manzanera, Dave Jarrett, Bill McCormick e Charles Hayward), poi incidendo il suo primo lavoro solista, "The End Of An Ear". Si tratta di un lavoro "difficile" all'ascolto, ma che già prelude alla raffinatezza stilistica del Wyatt solista. Abbandonati definitivamente i Soft Machine, il batterista e cantante da vita ai Matching Mole insieme a Dave Sinclair, Bill McCormick e Phil Miller. Ma la band, il cui nome deriva da un'assonanza con la traduzione francese di Soft Machine ("machine molle"), pur trasformandosi quasi subito in un esempio "classico" della "scena di Canterbury", dura poco più di un anno, lasciando in eredità due album imprescindibili: "Matching Mole" e, soprattutto, "Little Red Record".




L'1 Giugno del 1973, la vita di Wyatt arriva ad un altro bivio, questa volta più tragico e definitivo. Ubriaco ad una festa, cade da una finestra del terzo piano rimanendo paralizzato dalla cintola in giù. Con il sarcasmo di chi ha accettato una nuova esistenza, Robert avrebbe in seguito commentato così la sua disgrazia: «Il dottore era stupefatto. Mi disse: 'Doveva essere proprio ubriaco per rimanere così rilassato mentre cadeva dal quarto piano'. Se fossi stato appena un po' più sobrio, probabilmente oggi non sarei qui: avrei teso tutto il corpo per la paura e quindi mi sarei fracassato».

Costretto ad abbandonare definitivamente la batteria, Wyatt si dedica quasi completamente alla carriera solistica con la sua voce come unica compagna. Una voce fine, che ama girare attorno alle note senza mai poggiarvisi su, ma capace di spaziare tra un vastissimo range di altezze. Una voce intensa, riconoscibile, "così singolare che la riconosceresti anche da una sola nota" (Carla Bley).

Il primo frutto della nuova esistenza di Robert è il più maturo. Uno di quei lavori inimitabili che segnano per sempre la vita di un artista. Prodotto da Nick Mason dei Pink Floyd, "Rock Bottom" è un album introspettivo, delicato, raffinato. Dopo le sperimentazioni di "The End of an Ear", Wyatt prova a confrontarsi con la forma canzone, anche se questa definizione sta un po' stretta a capolavori di squilibrato equilibrio come "Sea Song". Il pianoforte acquista un ruolo di primo piano, ma le numerose collaborazioni (Fred Frith, Mike Oldfield, Ivor Cutler) garantiscono una grande ricchezza strumentale.

Anche nel suo terzo lavoro solista, "Ruth is Stranger Than Richard" Mason siede in cabina di regia. Stavolta, però, il risultato è più marcatamente orientato verso le radici (free) jazz della musica di Wyatt. Gli anni '70 sono un periodo di grandi collaborazioni per Robert (Henry Cow, Hatfield and the North, Carla Bley), caratterizzato da un acceso attivismo politico che troverà la sua realizzazione pratica nell'iscrizione al Partito Comunista britannico. Il documento forse più bello e significativo di questo nuovo orientamento di un Wyatt sempre meno avvezzo al compromesso, è "Nothing Can Stop Us" (1982), un album tutto basato su rielaborazioni di canti politici e di lotta che spazia da classici come "Guantanamera" (ribattezzata "Caimanera") a "Shipbuilding" di Elvis Costello, una canzone sul conflitto nelle Falkland che gli fruttò anche un discreto successo di vendite.


"A partire dalla metà degli anni '70 mi sentii molto confuso. La mia musica mi pareva totalmente inadeguata. E trovavo immensamente presuntuosa e ridicola l'idea della generazione degli anni '60 che si potesse migliorare il mondo con le sole canzoni di protesta. Cominciai a interessarmi maggiormente alla seria attività rivoluzionaria, cioè quella tesa al rovesciamento del potere".

Percorrendo a tentoni gli anni '80 tra musica e attivismo politico, Robert, verso la fine del decennio, dopo aver abbandonato il Partito, si ritira con la moglie Alfie in Spagna, ritornando sulle scene solo sei anni dopo la pubblicazione di "Old Rottenhat", con "Dondestan", definito da lui stesso un "disco sullo sradicamento, sulla deriva". Alfie scrive, lui suona quasi tutti gli strumenti: ne viene fuori un lavoro riflessivo e pacato, che qualcuno ha paragonato a "Rock Bottom". E arrivano finalmente anche i riconoscimenti della stampa, sigillo ad una carriera che pian piano lo sta trasformando in un mito vivente.

Le nuove generazioni di musicisti, da Chris Carter dei Throbbing Gristle a Ryuichi Sakamoto, gli chiedono collaborazioni e lui non rifiuta, aperto com'è sempre stato, alle nuove idee della musica sperimentale.

Il resto è storia recente. Una storia che racconta della graduale uscita dalle scene di Wyatt, intervallata, di lustro in lustro, da ritorni sporadici a produzioni più professionali e meno "casalinghe". Come nel caso di "Shleep" (1997), che segna il ritorno di Brian Eno e Phil Manzanera e si avvale della presenza di collaboratori di spicco come Paul Weller e Annie Whitehead. Ci vorranno altri sei anni per produrre nuovo materiale, questa volta prevalentemente dedicato alle canzoni ("Cuckooland", 2003)"e altri quattro ne passeranno prima dell'uscita di "Comicopera" (2007), autoritratto di un musicista già divenuto leggenda. Una leggenda che, per fortuna, continua a respirare.








       
     
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