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 Wyatt in Progress - Rumore N° 37 - febbraio 1995






Allo stesso tempo però sono molto attirato dalla tua personalità, per questo credo mi entusiasmava l'idea di poterti conoscere, di parlarti da vicino. L'occasione era l'usciata di Falsi Movimenti, libro che raccoglie la tua storia, cioè oltre trent'anni di carriera. Cosa ne pensi intanto di questo progetto puntiglioso, messo insieme con cura quasi maniacale da Michael King?

"Naturalmente sono molto contenta del fatto che ci sia cosi tanto interesse riguardo la mia opera e la mia storia. L'unica cosa negativa è che non riesco a pensare in modo lucido a quel che è successo prima degli anni settanta. La gente pensa, tutta la gente che ho incontrato pensa, che il mio incidente sia stato la più grossa tragedia che mi potesse succedere; in realtà da quando sono uscito dall'ospedale, ho sposato Alfie (Alfreda Benge, pittrice e compagna di Wyatt praticamente da una vita: Ndl) e ho realizzato Rock Bottom, da lì è cominciato il periodo più felice della mia vita. Improvvisamente, da quel momento, tutto è diventato semplice e chiaro."

Perché allora quasi tutti insistono sul lato "triste" e malinconico della tua voce e di quello che fai?

"Ma... intanto bisognerebbe chiederlo a queste persone (ride), personalmente non ho mai pensato la mia voce in questo modo..."

... infatti io credo che non sia esatto definire il tuo lavoro in questo modo, è riduttivo, c'è anche molta gioia in quello che fai e trasmetti...

"... è vero, ma forse la mia tristezza è data dal fatto che non mi sento a mio agio nel mondo e che ancora non ho capito cosa sono qui a fare. Non ho ancora capito a fondo la mia funzione come uomo su questa terra. Probabilmente allora è la voce, anche se la mia attitudine artistica è per lo scherzo, non c'è dubbio. Mi piace divertirmi e prendermi in giro. Non sono interessato in modo professionale, in quanto artista, alle tragedie. Credo anzi che alla fine siano proprio le persone che hanno sofferto molto a provare poco interesse per le tragedie."

... si, è però un dato di fatto che delle diverse sfaccettature della tua personalità, giocosità e leggerezza ironica sono sempre restate in ombra; invece quasi sempre si è esaltata la malinconia e una tristezza d'animo che non rendevano la giusta complessità del tuo fare musica...

"... già credo di essere fortunato per il fatto che la gente mi ascolta ed è interessata a quel che faccio. Oltre questo io non posso dare a chi mi ascolta la chiave di lettura, triste o allegra, per capirmi. T. S. Eliot ha detto che il lettore delle sue poesie probabilmente le capiva meglio di lui che le aveva scritte. In ogni caso credo che nell'arte ci sia una specie di contratto; l'artista fa mezzo percorso e l'altra metà la deve fare il fruitore. Alla fine quello che voglio dire è che solo la meta del processo creativo è mio."

Una delle cose credo più affascinanti del tuo carattere è il non accontentarsi mai, una specie di inquietudine che ti tiene costantemente sveglio su quello che succede in giro e allo stesso tempo ti spinge a sperimentare e a non fermarti mai sulle cose acquisite...

"... sì, questo è molto vero..."

... sfogliando infatti il libro mi ha colpito molto una tua frase a proposito di cosa significhi per te l'influenza maggiore per andare avanti: "cercare di non ripetere gli errori della volta precedente". Pochi riescono ad ammettere, in posizioni pubbliche come la tua, di fare continuamente degli errori e di lottare e lavorare per superarli.

"Certo, c'è una cosa importante da dire. Tu non riesci mai a cogliere la reale importanza di quello che sti facendo finché non l'hai finito del tutto. Solo alla fine riesci a misurare con un certo distacco quello che hai fatto. E questo non riguarda solo l'arte, ma la vita in generale. Per questo sono d'accordo su quanto hai letto: ogni errore si può quasi dire che sia un cambiamento."

Un altro aspetto del tuo modo di fare arte, molto amplificato in Italia, è l'impegno politico. Dopo la scelta maturata negli anni ottanta, nel 1989 se non sbaglio sei uscito dal Partito comunista inglese. Cosa ti è rimasta di quell'esperienza e perché ti sei allontanato?

"Oh no, in realtà è il Partito Comunista che mi ha lasciato (ride)..."

... quindi ora sei orfano...

"... (ride) già... vedi io non sono propriamente un attivista, sono più un nostalgico. Penso che molti degli aspetti più brutali e peggiori del capitalismo si manifestino nei paesi più poveri, nelle parti povere del pianeta. Il motivo per cui oggi i paesi capitalisti sono salvaguardati nel loro modello di vita è perché nel cosiddetto Terzo Mondo si rapinano le materie prime, è perché il Terzo Mondo è assoggettato economicamente e politicamente. In realtà il potere economico capitalista è molto instabile e non così duraturo..."

... questo per quanto riguarda il discorso economico e politico, ma per quanto riguarda invece il discorso più largamente culturale? Non pensi che, senza dare troppa enfasi ma riconoscendo quel che si muove, le culture "minoritarie" e terzo o quartomondiste abbiano una vitalità e una spinta sana per il futuro che, ad esempio, molta accademia culturale occidentale non possiede più da un pezzo? Del resto tu sei stato uno dei primi, in tempi non sospetti, non solo ad avvicinarti alle culture "minoritarie", ma a propagandarle con passione e convinzione...

"... sì, ma appunto per il discorso economico e politico dì rapina, di scambio diseguale, anche il discorso culturale viene falsato, svuotato dal paese e dalla cultura egemone. Faccio un esempio banale: ci sono fantastici giocatori di calcio africani che per fare la loro fortuna devono venire ad offrirsi in occidente. E' inevitabile così che vengano a fare la fortuna dei clubs europei. E' inevitabile perché il mercato gira a senso unico. In sostanza: noi ci pigliamo il meglio dal Terzo Mondo..."

... non solo ci prendiamo il meglio, ma mandiamo loro tonnellate di scorie radioattive ogni settimana, forse per rendere così le loro coste un po' più simili alle nostre tra qualche anno...

"... (ride) già, già. Del resto io non auspico nessuna vendetta contro il mondo capitalista. Non sono così infantile. I businessmen fanno il loro mestiere molto bene e purtroppo, è molto triste ma è così, la situazione colonialista alla fine di questo secolo è uguale a quella del secolo scorso. Sotto aspetti diversi ma forse ancora più devastanti."




Parlavamo prima degli anni settanta: dall'uscita dall'ospedale, del matrimonio con Alfie, di una nuova energia e vitalità. Ma gli anni settanta hanno visto anche una specie di ciclo chiudersi per Robert Wyatt. La fine degli anni settanta ti hanno visto sterzare verso alcuni silenzi, ripensamenti, e si è dovuto aspettare parecchio tempo prima di vedere risultati nuovi. Cosa è stato? Un cammino personale verso nuove strade da battere; oppure, come per molti della tua generazione, il punk e i sommovimenti di quegli anni hanno scoperchiato la crisi?

"Tutte e due le cose insieme, penso. Anche se alla fine il punk non ha fatto molto bene alla musica, troppe chitarre! Ma mi piaceva l'attitudine del punk, il modo di porsi e di essere, quello sì era interessante. Era una specie di onestà che mi sembrava salutare, genuina..."

... e tu in quegli anni stavi cercando ancora qualcosa di nuovo, o sbaglio?

"No, è il mio spirito inquieto che continua a cercare. Ma a quei tempi io, più che punk o rock in genere, ascoltavo molto reggae. Musica che ha avuto una grossa influenza sul punk, ma soprattutto musica espressione della gente povera, di una cultura sottomessa. Mentre questa gente era controllata continuamente dalla polizia, invece di stare quieta e tranquilla, parlava con questa musica di una maestosità e di un orgoglio personali fortissimi."

Dopo tanta storia parliamo un po' del Wyatt di questi ultimi anni. Il tuo universo sembra, è, un universo estremamente poetico, essenzialmente poetico. Addirittura in Dondestan, in modo molto diretto, hai musicato alcune poesie scritte da Alfie. Sei partito quindi da testi poetici compiuti per ricavarne delle canzoni. Ma che cosa è la poesia per te? Visto che la poesia sembra essere l'aria indispensabile per fare girare i tuoi suoni?

"Posso dire che il mio rapporto con la poesia non è una scelta se abbracciarla o rifiutarla. Nel caso di Dondestan ho usato queste poesie di Alfie perché mi avevano toccato particolarmente e perché mi sembrava fossero già pronte per essere cantate. Mi sembrava che le parole, ancora prima del loro significato, fossero già musica. Le parole sono come un punto di passaggio tra il conscio e l'inconscio, e nelle canzoni in particolare le parole fanno da ponte in questo senso. Le parole più efficaci in una canzone non sono necessariamente quelle che hanno più senso, ma quelle che vengono da una specie di trans. I poeti lavorano in questa stessa area."

Certo, ma non pensi che un testo poetico dovrebbe bastare a se stesso? Non abbia cioè bisogno di nient'altro, visto che vive in uno specifico poetico che già contiene un suo ritmo e una sua musicalità? Non è aggiungere troppo accostandolo alla musica? O almeno, non c'è differenza secondo te tra il testo per una canzone e una poesia che può vivere da sola?

"E' possibile. Ma è anche vero che molto spesso quello che noi oggi abbiamo come testo scritto, ad esempio i Salmi della Bibbia, all'inizio erano cantati. Potrei aggiungere che la parola poetica, il testo poetico è pensato per essere letto o sentito una sola volta, o poche volte; mentre la musica, un pezzo musicale è già progettato per essere sentito molte volte. Questa è una differenza grossa, mi sembra. Se tu presenti la poesia come musica, è l'occasione per ascoltare la poesia in un altro modo." So che non ami particolarmente parlare delle cose che farai o potrai fare, dei tuoi progetti futuri...

"... in realtà mi piace parlare di tutto, tranne che del passato, del futuro e del presente (ride)..."

... ma io mi accontento di un tempo indefinito, basta che mi parli un po' del lavoro o dei lavori che hai in cantiere...

"... (ride) messa così non posso rifiutarmi. Sto incidendo tre pezzi con un musicista che si chiama Joe Bogaert, remix da discoteca. Lui mi ha mandato le basi e ci sto lavorando..."

... musica da discoteca, cos'è un altro errore?...

"... (ride) oh no, è molto interessante, già ho fatto qualcosa di simile con gli Ultramarine. La musica pop di oggi è molto veloce nella ritmica, ma sono cose che io personalmente facevo già molti anni fa; in realtà la musica pop è molto conservatrice e quindi lenta nei cambiamenti. Ad esempio, i pezzi per Bogaert alla fine duravano sei o sette minuti ed erano improponibili semplicemente perché non potevano essere mandati su MTV: assurdo! Mi piace la musica pop ma non sopporto la cultura della musica pop. Molto spesso la gente pensa che il pop sia libero, in realtà c'è più libertà nella chiesa (ride)..."

... del resto la tua adesione al pop non è mai stata molto grande. Sarà il tuo approccio multiculturale e ironico, il tuo carattere, ma mi sembra che Robert Wyatt non si è mai fatto impressionare dalle regole...

"... sì, può essere vero... Sto lavorando anche ad un pezzo per Philip Cutrin, chitarrista jazz belga, pezzo a cui io ho aggiunto il testo; un'altra cosa con Mark Kramer, newyorkese della Shimmy Disc; alcuni pezzi con Hugh Hopper, mio vecchio compagno e svariate altre collaborazioni. Anche se devo dire che è frustrante il passaggio tra la registrazione del materiale e poi l'uscita effettiva sul mercato. Passa un sacco di tempo e si è già avanti, da un'altra parte. Un'altra cosa frustrante è che dopo tanti anni non ho ancora capito come è organizzato il mondo del business (ride), come si deve far per ricavare dei soldi da tutto questo lavoro (ride). Questo a volte può anche rendere nervosi, visto che alla fine si deve anche mangiare..."

... è gratificante ma non molto semplice fare il personaggio di culto, allora...

"... già. Ma va bene così, non ci sono problemi. E neanche rimpianti."

Claudio Galuzzi


Un ringraziamento particolare va a Alessandro Achilli e a Marco Grompi per la disponibilità dimostrata.

       
     
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