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 Hasta siempre Robert Wyatt - Alias - 29 Giugno 2002


HASTA SIEMPRE ROBERT WYATT

Di Claudio Bonomi

 




Tempo di tributi per Robert Wyatt che, proprio in Italia, sta vivendo autentici sprazzi di celebrità. Un ciclo, si fa per dire, iniziato nel '97 con la partecipazione di Wyatt al Salone del libro di Torino, proseguito poi l'anno successivo con la pubblicazione di The Different You - Robert Wyatt e noi, compilation di sue canzoni rifatte da oltre trenta artisti nostrani riuniti sotto l'ala del Consorzio Produttori Indipendenti (dagli Area agli Almamegretta fino a Jovanotti) e con l'uscita del film The Little Red Robin Hood, toccante affresco in bianco e nero di Carlo Bevilacqua e Francesco di Loreto che documenta l'evoluzione artistica di Wyatt, dai primi concerti psichedelici dei Soft Machine alle registrazioni di Shleep con Brian Eno e Phil Manzanera. E, sempre nel '98, Wyatt canta Hasta siempre comandante nel disco di Maurizio Camardi, Nostra Patria.

Il resto è quasi storia dei nostri giorni: dalla collaborazione con Cristina Donà, maturata nella malinconica Goccia ai riarrangiamenti del progetto Soupsongs, capitanato dalla trombonista Annie Whilehead, che ha fatto tappa proprio l'anno scorso in Italia al Teatro Dal Verme di Milano con un concerto che i presenti ricorderanno per un bel pezzo (in scaletta una Sea song da brivido cantata da Julie Tippets). L'ultimo link in ordine di tempo di Wyatt con il Bel Paese porta la firma di Claudio Chianura, giornalista e autore di un recente libro su Tom Waits uscito per Auditorium Edizioni, che ha confezionato per Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri (collana Sonic Book) un minibook con ed allegato dall'emblematico titolo Postcards from Italy.

Chianura ha riunito quattro preziose interviste rilasciate da Wyatt che ritraggono l'artista in diversi anni ('80, '86, '97, '01), due delle quali già apparse su un volumetto, pubblicato sempre per Stampa Alternativa nell'86. Interviste che svelano un personaggio realmente «fuori dagli schemi». Che parla dì tutto, dall'impegno politico al rapporto con i musicisti che hanno collaborato con lui, dimostrando un'onestà intelletuale e un understatememt non comune. Con risposte mai scontate, lucide e autoironiche. Ad esempio, quando gli viene chiesto dì spiegare il perché di una così grande attenzione nei suoi confronti {siamo nel '97), risponde: «Non ne ho idea. Spesso sì suppone che molti musicisti rock siano votati alla morte per overdose, mentre io sono ancora vìvo e la gente sembra sorprendersi per questo». Le interviste sono corredate da foto e da una discografia con l'opera omnia del musicista inglese che comprende anche collaborazioni e tributi Fino a qui l'omaggio editoriale. Meno prevedibile il complemento sonoro curato da Walter Prati, compositore e musicista di ricerca, tra le sue collaborazioni figurano artisti del calibro di Evan Parker, Barry Guy, Paul Lytton, Thurston Moore ecc, che da sempre è impegnato sul fronte della contaminazione/iterazione tra elettronica e strumenti musicali tradizionali e tra musica scritta e improvvisazione. Una filosofia che sposa anche nell'approccio a Wyatt. «Robert mi ha spedito le tracce vocali di Duchess, una delle canzoni contenute nel suo ultimo cd Shleep, che mi sono servite per elaborare le tre versioni che sono contenute nel cd allegato: la prima mette insieme un trio d'archi, la voce di Wyatt e la mia parte improvvisata di violoncello, mentre le altre due combinano sempre le voce di Wyatt con sonorità più tradizionali, quasi di matrice rock, con basso e chitarra elettrica. In tutti e tre ì frammenti c'è l'idea di decomporre la linea melodica del brano di Wyatt combinando l'idea della composizione (ad esempio, il trio d'archi della prima versione è tutto scritto), con quello dell'improvvisazione».

L'ascoltatore, abituato alle linee melodiche del musicista di Bristol, può rimanere spiazzato da questo mix che coniuga tradizione colta, composizione e ìmprovisazione. Ma si tratta di un'operazione genuina che merita rispetto e che va oltre cover e remix che spesso producono solo l'effetto di far rimpiangere le versioni originali. Piuttosto che donare una canzone del repertorio wyattiano con performance vocali piatte e prive di pathos, Prati preferisce sviluppare un discorso originale in linea con la filosofia di Wyatt, che è sempre stata quella di rivoluzionare/contaminare i linguaggi. Dentro la melodìa di una canzone di Wyatt, Prati ha cercato e trovato la «sua» melodia. E questo è forse il tributo più compiuto che si poteva realizzare.



 
 

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A Robert Wyatt, l'idea che altri «manipolino» le sue composizioni non disturba. «Amo che altri le eseguano, quel che faccio è solo realizzare la prima idea, non certo tutto quello che si potrebbe fare, con la mia musica». Parlando di Postcards from Italy dice: «II progetto mi è piaciuto. L'artwork della copertina mi fa apparire un tipo feroce. Fantastico».

E delle tre variazioni realizzate da Watter Prati sulla tua voce cosa pensi?

So che è un amico di Evan Parker. Evan è un tipo che viaggia parecchio e incontra molte persone che io non posso incontrare o che non potrei comunque avere la possibilità di conoscere. Sono molto contento del lavoro di Prati: specialmente la prima variazione con gli archi è molto bella. Sfugge a qualsiasi classificazione. È proprio nello spirito del mio lavoro.

Come spieghi questo crescente interesse per Ì tuoi lavori in Italia?

Sinceramente, non so rispondere. Non viaggio, non faccio concerti e davvero non so cosa succeda là fuori. Una possibile spiegazione potrebbe essere questa: il mio lavoro è apprezzato in quei paesi dove esiste una comprensione della mia visione politica, del mio credo. Penso che in Italia molta gente abbia saputo cogliere questa dimensione. Lo stesso succede anche in Francia. Credo che ci sia anche una motivazione artistica. Per esempio, mi piace moltissimo Maurizio Camardi, il suo modo di suonare, la sua musica, la sua band. Un bravissimo musicista con il quale ci siamo intesi a tutti i livelli, non solo sul piano musicale e abbiamo realizzato una fantastica versione di Hasta siempre comandante, uscita su un cd de il manifesto. La stessa intesa si è sviluppata anche con Cristina Donà. Devo dire che, alla fine, siamo tutti musicisti e rispondiamo solo alla musica.

In Shleep, il tuo ultimo lavoro solista che risale al '97, suoni la tromba. Lo stesso fai in alcune delle tue recenti collborazioni come in Vozero di Phil Manzanera o in Goccia di Cristina Donà. Continuerai anche in futuro?

Devo farlo, non ho altra scelta. Le mie note alte stanno sparendo. Mi sto trasformando in un basso, non molto profondo, ma in un basso. Quando ero giovane riuscivo a raggiungere le note più alte, oggi non più. E ho due modi per ovviare a questo problema: la prima è suonare la tromba e la seconda è lavorare con cantanti donne.

Stai lavorando a un nuovo progetto solista?

Sì, ma non parlo mai in anticipo di quello che sto facendo. Riguardo alle collaborazioni, mi piace sempre lavorare con determinate persone. Ma mi sento più a mio agio quando lavoro da solo, completamente solo come è successo in Dondestan. È meno difficile e costoso. Eppoi in questo modo non ho niente da dover spiegare.

Che dischi stai ascoltando in questo periodo?

Sono molto affascinato da alcune band franco-arabe. Fanno una musica realmente autentica, mediterranea come il flamenco o la musica napoletana. Quando l'Europa incontra altre culture, il risultato è sempre straordinario.

Si potrebbe definire una nuova musica etnica?

No, non mi piace questa definizione. Etnico è una parola codarda per dire "non abbastanza bianco". Mi raccontava Amal Murkus, un'artista araba di Haifa, cantante bravissima, che nei negozi di dischi in Israele, dove lei vive, i suoi cd sono catalogati sotto il genere etnico. Mentre i dischi degli artisti israeliani sono inseriti insieme a quelli inglesi o americani, i cd di musica araba vengono così relegati in una sorta di ghetto. Bisogna quindi stare molto attenti a usare questa parola. Etichettare la musica come etnica è discriminante e finisce per escludere un mondo musicale dallo scenario di un moderno dibattito intellettuale. E questo è un discorso molto pericoloso.


Robert Wyatt, in une illustrazione di Luca Varaschini,
dalla copertina del libro-cd “Postcards from Italy”



       
     
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